Takopi's Original Sin e il dispiacere per chi voleva solo fare del bene
Takopi è un piccolo esserino che agisce in buona fede e con le migliori intenzioni, ma come ci sentiamo noi lettori quando non riesce a rendersi utile?
Quando mi sono avvicinata a The Ichinose Family’s Deadly Sins di Planet Manga, dato che ho avuto la possibilità di recensire il primo volume per Cultura POP, mai avrei pensato che il padre di questo manga, Taizan5, potesse diventare, molto presto, uno dei miei mangaka del cuore. Si tratta di un dramma familiare dalle tinte thriller, con un concept classico rivisitato: il protagonista perde la memoria e al suo risveglio è circondato dalla sua famiglia. Anche questa, però, soffre di amnesia. “Geniale” ho pensato.
Poi, tempo dopo, mi sono imbattuta in un post di Instagram molto interessante su un manga il cui stile deciso e fortemente espressivo era fin troppo familiare; sulla copertina c’era una bambina in lacrime, con due occhioni che mi ricordavano tanto quelli dei personaggi di The Ichinose Family’d Deadly Sins.
Sì, si trattava proprio di un’opera di Taizan5 e il titolo, per me inedito, era Takopi’s Original Sin. Senza pensarci due volte, ho deciso di acquistare il cofanetto di Star Comics - perché sono un’amante cronica di gadget ed edizioni da collezione - con l’intenzione di leggerlo appena possibile.
Nonostante la carriera piuttosto breve, Taizan5 ha già guadagnato un riconoscimento incredibile nel mondo dei manga. Ha debuttato su JUMP ROOKIE! nel 2020 con Hymn, vincendo un Editor Expectation Award. Nello stesso anno, una storia breve dal titolo Doujin Seiji gli è valsa una menzione d’onore su Weekly Young Jump.
Ha pubblicato nel 2021 due one shot di successo: Hero Complex e Kiss Shitai Otoko, prima di dare vita alla sua opera più celebre. Takopi’s Original Sin, infatti, è stata pubblicato tra il 2021 e il 2022 su Shonen Jump+ e ha venduto oltre 1 milione di copie, oltre a ricevere un Manga Kingdom Tottori Award. Poi è arrivata la serializzazione di The Ichinose Family’s Deadly Sins in occasione del 50° numero di Weekly Shonen Jump.
Se mi chiedeste cosa della sua arte mi abbia colpito sin da subito, probabilmente non sarebbe facilissimo dare una risposta precisa, poiché quando si parla di sensazioni non è sempre immediato riuscire a trasferirle esattamente nero su bianco. Posso dire, però, che un tale contrasto emotivo nelle sue storie difficilmente l’ho assaporato altrove, veicolato da un gioco di ombre deciso e talvolta azzardato, “coraggioso”.
C’è poi una tendenza a riempire gli ambienti e le stanze di microdettagli che, presi da soli, potrebbero raccontare mille altre cose in più rispetto a ciò che l’artista pone in superficie, come se creasse un sottostrato fittissimo da poter analizzare, rendendo ogni tavola pregna, strabordante.
Qualcosa del genere l’avevo già incontrata nelle opere della mangaka Aya Fumino, dove gli ambienti raccontano ciò che i personaggi non riescono a dire a parole, riflettendo il loro spazio interiore (discorso ampiamente affrontato quando vi ho parlato di Perfect Days). Taizan5, però, esaspera questo concetto, creando una traccia di quotidianità che un lettore curioso e attento fatica a non esplorare parallelamente a quella volutamente più evidente.
Esiste, però, un altro aspetto di Taizan5 che ha toccato strane corde, in cui mi sono imbattuta proprio il giorno in cui ho cominciato a leggere Takopi’s Original Sin.
Takopi: una creatura che non conosce il male
Di Takopi’s Original Sin salta subito all’occhio il piccolo e tenero esserino rosa illustrato sul Box da collezione, che a prima vista sembrerebbe il protagonista di una dolce storia proprio come lui. Basta poco, però, per scoprire che la simpatica mascotte altro non è che l’emblema del meme “Looks like a cinnamon roll - Could actually kill you”, se per kill intendiamo emotivamente.
Questa creatura proviene dal pianeta Happi ed è giunta sulla Terra con l’intento di rendere felici le persone. Qui incontra Shizuka, una bambina solitaria, il cui volto emana sempre una profonda tristezza. È lei a notare la somiglianza con un polpo e a dare all'alieno il nome di Takopi. Infatti, la parola giapponese tako (タコ) vuol dire “polpo”, mentre il suffisso -pi è utilizzato in Giappone per riferirsi a piccoli animali.
Takopi le promette che farà di tutto per aiutarla, attraverso alcuni Happy gadget con specifiche caratteristiche volti a facilitare la vita degli esseri umani, come le Ali Flap Flap per volare liberamente nel cielo o la Happy Camera, per poter tornare al momento in cui è stata scattata una foto. La dolce creatura, però, non ha alcuna idea di cosa sia davvero il male sulla Terra e i suoi innocenti tentativi potrebbero non bastare per affrontare ciò che sta affliggendo la povera bambina.
La storia di Takopi’s Original Sin è sviluppata in due soli volumi, infatti si tratterebbe di una lettura piuttosto veloce, in linea teorica. Eppure, quando nei primi capitoli si avverte una prima sensazione di dolore inconsolabile, bisogna fermarsi per un po’, metabolizzare e ricominciare.
Già solo l’approccio alla lettura dell’opera ha provocato in me una morsa al cuore indescrivibile, non solo per la spiccata capacità dell’artista di passare da toni distesi a scenari tragici - impattanti e mai incoerenti - con un solo volta pagina, ma anche e soprattutto perché si viene a creare una dinamica particolare con il piccolo Takopi, che forse non ha esattamente un nome, ma che posso provare a descrivere.
Takopi è una creatura che agisce a fin di bene e in buona fede, cercando di aiutare Shizuka nella sua quotidianità. Tuttavia, non conosce il mondo degli esseri umani e, quindi, travisa spesso le intenzioni che si celano dietro alcune azioni, innocue ai suoi occhi. Infatti, quando assiste a qualcosa che riesce a riconoscere come non gentile, non buono, Takopi non ne comprende subito la natura, poiché il male non gli è per nulla familiare.
Quando il piccolo abitante di Happi offre qualche Happy gadget con l’intento di dare una mano a chi potrebbe averne bisogno, il più delle volte il suo aiuto viene respinto, non tanto da un orgoglio, ma da un profondo senso di sconsolazione, di sconfitta e di sfiducia.
Capita, però, che quando uno di questi oggetti viene invece accettato, esso non sia, in realtà, in grado di aggiustare le cose. Il buon proposito di Takopi, dunque, non ottiene l’effetto da lui desiderato, anzi talvolta rischia di essere l’elemento scatenante di qualcosa di tutt’altro che positivo per la persona in questione.
Questo ci rende irrimediabilmente tristi.
Volevo fare bene, ma alla fine ho fatto peggio
Quante volte finora, nella vita di tutti i giorni, abbiamo pronunciato o sentito dire frasi come “Credevo di fare cosa gradita” / “Credevo di poterti aiutare”? Forse più di quelle che effettivamente ricordiamo.
Spesso agiamo per il bene dell’altro, ingenuamente convinti che ne potrà esserne contento. Eppure, per le ragioni più disparate, per errore o incomprensione - a livello psicologico, i fili del discorso potrebbero essere infiniti - potrebbe non esserlo affatto. Come ci sentiamo noi? Tristi e impotenti. Ci dispiace non essere stati d’aiuto nonostante le migliori intenzioni.
Altre volte, però, capita di trovarci in situazioni in cui siamo noi ad avere un dato problema e non sappiamo come risolverlo. Qualcuno a noi caro, credendo davvero di poter dare una mano, potrebbe finire per peggiorare la situazione, creando un altro problema o amplificando quello esistente. Probabilmente questo è dovuto all’aver applicato un punto di vista strettamente personale alla questione, non molto compatibile con noi, eppure quel gesto e quel pensiero avrebbero voluto davvero essere d’aiuto.
Potrebbe anche verificarsi un caso differente: torniamo a casa e vediamo che qualcuno ci ha preparato da mangiare, ma noi abbiamo pranzato fuori. “Scusa, pensavo di fare una cosa buona”, potrebbe essere una risposta di chi, non sapendo o non ricordando il nostro programma, ha agito mosso da una genuina voglia di far trovare un piatto caldo. Nel peggiore dei casi, potrebbe addirittura causare una nostra impulsiva seccatura (“Te l’avevo detto che avrei mangiato fuori!”), prima di renderci conto della buona fede dell’altro.
In casi simili a questi, o in altri ancora di cui si potrebbe essere anche solo meri spettatori, esiste qualcuno dotato di una sensibilità tale per cui proverà, a prescindere dal ruolo, dolore per una buona intenzione andata male, per un “Volevo solo aiutare” / “Speravo di star facendo qualcosa di buono”, quando fino a un attimo prima della delusione di un’aspettativa si era convinti di poter anche solo strappare un sorriso. Non si parla, dunque, solo di dispiacere quando siamo la parte attiva, ma anche di una tristezza per chi ha agito verso qualcun altro - ed è proprio quest’ultimo, per me, il caso di Takopi’s Original Sin.
Nel manga di Taizan5, a provocare tristezza sono sì le situazioni fortemente negative che man mano si vengono a creare, ma anche e soprattutto scoprire che una buona intenzione del piccolo Takopi può perdersi troppo facilmente. Se poi pensiamo che la dolce creatura rosa non concepisce nemmeno il male - complice, poi, il design del personaggio che non fa altro che accrescere un senso di profonda tenerezza nei suoi confronti - il macigno sul petto di fa ancora più pesante.
Con questo, quindi, non voglio dire che le tragedie che colpiscono Shizuka e gli altri personaggi non siano oggetto di attenzione e forte compartecipazione, anzi: Takopi’s Original Sin è un’opera che ci fa interfacciare in maniera schietta con il dolore generato dal male, a sua volta generato dal dolore, e così fino a un “peccato originale” difficile da collocare, ma su cui non si può fare a meno di interrogarsi. Poi c'è Takopi, che cerca di inserire il bene in questa catena dalle maglie sempre più strette e soffocanti.
Trovo, però, che Taizan5 sia stato in grado di mettere su carta, ancor più di tutto il resto, una sensazione a cui, ripeto, è difficile dare un nome. Nell’opera, questa mi ha colpito particolarmente, poiché tante volte mi ha coinvolta in prima persona, e come me credo anche molti di voi, sia nei panni di Shizuka (non con la stessa intensità, fortunatamente), sia nei panni di Takopi - insomma, sia come “ricevente” sia come “agente”. Lo ha fatto, però, anche quando ero una spettatrice non coinvolta, ma al tempo stesso, per qualche ragione, ne ero toccata emotivamente.
In una sede diversa da questa, sicuramente quest’opera meriterebbe un'analisi ancor più dettagliata che possa toccare e approfondire molteplici aspetti, e sono sicura che le occasioni non mancheranno. Una cosa però è sicura, almeno per me: per il dolore che ha permeato le pagine, per il finale che è arrivato come una carezza dalla mano pesante, e soprattutto per l’aver ritrovato una sensazione così familiare, sento di poter considerare Takopi’s Original Sin uno dei manga che più sono stati in grado di scavare in profondità e costruirsi un posticino sul fondo del cuore.
— L’immagine di copertina è la fotografia di una cartolina contenuta in TAKOPI’S ORIGINAL SIN - BOX, Star Comics. Fini esclusivamente critici e commentari.