I Perfect Days di Hirayama possono essere anche i nostri
Proviamo a capire noi stessi attraverso Perfect Days di Wim Wenders e a volgere lo sguardo verso il non-caos di cui abbiamo bisogno.
Un giorno un uomo di mezza età si sveglia tra le mura della sua umile casa. Prende le chiavi e una fotocamera analogica, infila qualche moneta in tasca e si incammina, mentre il sole sorge lontano. Un caffè in lattina al volo, poi dritto sul suo camioncino blu verso una nuova giornata. Quest’uomo è Hirayama, il protagonista di Perfect Days interpretato da Koji Yakusho. Il film del 2023 è stato diretto da Wim Wenders, sulla sceneggiatura sua e di Takuma Takasaki, prodotto da Master Mind, Spoon e Wenders Images, presentato al Festival di Cannes dello stesso anno e distribuito in Italia da Lucky Red a partire dal 2024.
Hirayama vive da solo in una modesta dimora, ama curare le piante e lavora come addetto alle pulizie nei bagni pubblici di Tokyo. Sì, quelli di The Tokyo Toilet, bellissimi e dai design più ricercati. Hirayama diventa parte integrante dell’ambizioso progetto di Koji Yanai, noto imprenditore e presidente dell’azienda Fast Retailing, che consiste nella riqualificazione urbana di Shibuya. L’obiettivo è sempre stato quello di incentivare l’uso dei bagni pubblici da parte dei cittadini, sfruttando architetture accattivanti e innovative che, a loro volta, esigessero condizioni igieniche impeccabili, sia in quanto vere e proprie opere d’arte, sia perché la pulizia dovrebbe essere un elemento imprescindibile.
“TTT chiedeva a creativi famosi di ridisegnare i bagni pubblici con l’intento di far sì che tutti desiderassero utilizzarli.” - Koji Yanai, dal booklet di Perfect Days, Lucky Red
Gran parte del film è girata al loro interno, facendo sì che, per diverso tempo, lo spettatore si riscopra ad osservare semplicemente un uomo silenzioso che pulisce dei sanitari. Qualcuno potrebbe chiedersi “Cosa sto guardando esattamente?”, invece qualcun altro potrebbe piacevolmente stupirsi dello scoprirsi incantato, quasi ipnotizzato, da una passata di straccio e un rumore di ceramica pulita.

Quasi ogni giorno della settimana, Hirayama si prende cura di ogni angolo di questi luoghi, di ogni centimetro, per rispettare le norme igieniche previste dal progetto, ma anche per far sì che chi li utilizza possa farlo al meglio, poiché ci tiene. Insomma, non lo fa solo perché deve, ma anche perché vuole. Niente a che vedere con il suo scapestrato giovane collega, la cui vita al di fuori del lavoro sembra un bizzarro susseguirsi di disavventure. Hirayama, invece, è meticoloso, attento, usa strumenti specifici per ogni esigenza, come se ogni gesto fosse una tenera carezza per il prossimo, oltre che un atto indispensabile.
Prendersi cura dell’ambiente in cui si sta, tuttavia, coincide con il farlo anche di se stessi1, poiché lo spazio che circonda l’essere umano e in cui quest'ultimo opera altro non è che la sua estensione fisica e mentale.
Tu sei lo spazio che ti circonda e lo spazio che ti circonda sei tu
L'atto di pulire è innanzitutto e senza dubbio una questione igienica: un’azione che, di buona norma, dovrebbe essere automatica all'interno della sfera che riguarda la cura personale - proprio perché lo spazio è estensione di sé.
Il concetto di pulire dovrebbe essere anche strettamente legato al concetto di ordine. Infatti, se una persona decide di mettere in ordine una stanza, un armadio, un cassetto, questa è portata - o dovrebbe esserlo - a igienizzare quello spazio in cui non c'è più disordine.
Il contrario, però, è più difficile. Sono molte le persone che si definiscono “disordinate, ma pulite”, poiché, se igienizzare suona come qualcosa di indispensabile per la cura di sé, ordinare viene spesso considerato una questione quasi caratteriale - o, per meglio dire, un’etichetta da cui non ci si svincola.
Se pulire è un fatto igienico e dovrebbe essere un automatismo nel momento della cura personale, questo vale anche per l’ordine, oppure no? Per trovare una risposta, ci si dovrebbe innanzitutto chiedere cosa questo sia esattamente. Per individuare il significato di qualcosa, spesso è sufficientemente conoscere la sua negazione. Cos’è, quindi, l’ordine? Sicuramente è non-caos2.
Se accettiamo che l'ambiente circostante sia estensione di sé, un luogo ordinato e quindi non caotico è lo specchio di un sé privo di caos. A sua volta, uno spazio in ordine fa bene alla mente che, di conseguenza, si adatta ad esso: insomma, è un circolo che si alimenta da solo.

Ordinare, ossia porre qualcosa nel posto destinato e/o nel medesimo, aiuta a non vivere nella confusione. Questo, dunque, permette di riuscire a gestire lo spazio, a conoscerlo e a operare al suo interno con un senso pratico che dovrebbe essere indispensabile.
Ordinare, quindi, è un automatismo come pulire? Dovrebbe poterlo essere, ma non lo è per tutti: dipende da una forma mentis che si fatica a decostruire e a destrutturare. Quando, però, ci si rende conto che il funzionamento caotico della mente rischia di rendere inospitale il proprio spazio, in primis - e cosa più importante - per se stessi, è lì che l’ordine può nascere come risposta al caos, in quanto negazione di esso e suo superamento.
Hirayama, dal canto suo, è estremamente ordinato, in casa come al lavoro. È metodico, si lascia guidare da gesti rituali. Porta con sé sempre gli stessi oggetti, riposti la sera prima nel solito posto e nella stessa sequenza. Legge pagine di un libro e, non appena avverte sonno, lo pone sul pavimento, aperto e a faccia in giù, vicino al suo futon e insieme ai suoi occhiali da lettura. La mattina presto, l’impeccabile routine di qualcun altro si mescola alla sua: ogni giorno Hirayama si sveglia al solito orario grazie al suono della scopa della sua vicina, la quale spazza la strada alla stessa ora, allo stesso modo.
Lo è anche quando gli altri cercano di relazionarsi a lui. Non appena qualcuno prova involontariamente a creare scompiglio, o anche soltanto ad essere una novità nella sua routine, Hirayama non è affatto rigido nell’adattarsi alle situazioni inedite, ma subito riesce a tornare lungo i propri binari. Ad essere ordinata, dunque, è la sua forma mentis.

Torniamo per un attimo al concetto di pulizia. Pulire vuol dire far tornare qualcosa come nuovo. Farlo genera benessere, così come vederlo. Forse è per questo che quella fetta di spettatori che non si chiede “Cosa sto guardando?” non riesce a smettere di osservare Hirayama lavorare nei bagni di Tokyo. L’idea che qualcosa possa tornare com’era in principio può suscitare diverse emozioni positive, e non soltanto quando gli si attribuisce un legame affettivo.
Talvolta la sensazione è quella di riuscire a dimostrare che ogni cosa può tornare nelle condizioni migliori, essere riparata, sistemata, e funzionare ancora, come se niente o nessuno l’avesse mai toccata: un sentimento estendibile anche ad elementi non tangibili - le relazioni, le situazioni, gli stati d’animo.
Forse anche Hirayama si sente così: l’idea che lui, ogni giorno, possa far tornare tutto come prima è rassicurante. Niente di ciò che vive al di fuori della sua bolla può rovinare il suo piccolo mondo dove tutto è costante, nonostante l’inevitabile passare del tempo. Anche quando qualcosa è destinato a mutare, Hirayama ha il “potere” di ripristinarne l’essenza. Ancora una volta, tutto questo sembra molto vicino all’atto di mettere in ordine, oltre a quello di pulire: riporre le cose nel posto - e quindi nella condizione - in cui erano prima.
“Altri attori avrebbero potuto recitare la parte di Hirayama, ma solo Koji Yakusho è davvero diventato Hirayama, un uomo contento, umile e pacifico, con un cuore grande, un uomo a cui tutti vorrebbero assomigliare, una condizione verso cui tutti gli esseri viventi, ma anche le piante e gli alberi, sentono di tendere.” - Dal booklet di PERFECT DAYS - 4K ULTRA HD + BLURAY, Lucky Red
Hirayama è contento, dunque? Sembrerebbe di sì, poiché è riuscito a rendere l’ordine - nel suo spazio e dentro di sé - la propria normalità. Per lui è diventato un automatismo. Eppure quell’ultima scena, quel sorriso misto a un pianto soffocato… Che la contentezza di aver ottenuto la propria quiete interiore nasca da una volontà di mettere a tacere una tempesta? Che il benessere, in fin dei conti, non sia da considerare un non-malessere, così come prima l’ordine era non-caos?
Tutto inizia da una scelta
Lo sceneggiatore Takima Takasaki è stato chiaro sulla natura del personaggio di Hirayama:
“Abbiamo appreso che nessuna circostanza aveva costretto Hirayama in questa vita; piuttosto era stato lui a scegliersela. È stata una scoperta per tutti noi.” - Dal booklet di PERFECT DAYS - 4K ULTRA HD + BLURAY, Lucky Red
L’essere umano libero è quello che comprende la possibilità di scegliere per sé: nel momento in cui decide, concede a se stesso libertà assoluta3. È fuori da ogni dubbio che Hirayama abbia deciso di vivere così, lui ha scelto la propria serenità. Sta bene e il suo spazio vitale parla per lui, sussurrando sottovoce che il suo ordine, quindi, non è maschera di un tormento celato, ma la manifestazione di uno stato di benessere che, probabilmente, è il risultato finale di una lotta al malessere.
Non è detto che le criptiche lacrime di Hirayama, quegli occhi lucidi, siano per forza indice di un’infelicità di fondo, bensì potrebbero comunicare l’esistenza di un vecchio Hirayama che lo spettatore non vedrà mai, ma che il protagonista conosce bene e saluta da molto lontano.
Una sua frase, ossia “Se niente cambiasse mai, la vita sarebbe assurda” , è la chiave di Perfect Days e funge da cartina tornasole: chi, dopo aver guardato il film, percepisce la vita di quest’uomo come monotona, ripetitiva, vuota, può interpretarla come una presa di coscienza, da parte di Hirayama, che qualcosa deve essere stravolto.
Io, in quanto essere umano alla ricerca disperata di una forma mentis basata sul non-caos, sento in quelle parole la fatica che lui ha già affrontato una volta, per far sì che la propria vita cambiasse e diventasse com’è ora, regolata dall’ordine, dalla certezza che le cose possano tornare come nuove ogni giorno: tutti concetti che, in realtà, prescindono dal fatto che lui faccia davvero “sempre le stesse cose”.
La chiave della serenità non è necessariamente la ripetizione - che per me, in primis, può arrivare ad essere soffocante - ma la capacità di vivere in un luogo che sia estensione della propria mente e far sì che una forma mentis ordinata possa riflettersi all’esterno.

Vedere oggi video in cui persone puliscono stanze, cuscini, tappeti o interni delle auto ci fa stare bene, tanto da rischiare di diventarne dipendenti, poiché forse una parte di noi riconosce la potenza psicologica e addirittura emotiva del pulire e dell’ordinare.
Forse non riusciamo a non guardarli perché cerchiamo disperatamente, nel posto sbagliato, una sensazione di benessere che, invece, dovrebbe partire da noi. In fondo, io posso guardare tutti i video del mondo di case ordinatissime e provare una soddisfazione momentanea, ma la mia sarà sempre destinata al caos se non decido di cambiare qualcosa.
Questo vale per me e forse anche per te. Quando guarderai Perfect Days, o quando lo assaporerai ancora una volta, probabilmente penserai “dovrei essere più come Hirayama”. Io, per prima, spero che al mondo ci saranno più persone come lui, ma per il momento mi faccio bastare la consapevolezza che almeno uno di noi, anche se in un universo che non ci appartiene, abbia avuto la forza di avvicinarsi alla libertà.
- L’immagine di copertina è una fotografia del booklet di PERFECT DAYS - 4K ULTRA HD + BLURAY, Lucky Red. Fini esclusivamente critici/commentari.
Dalle parole ai fatti - Il linguaggio fra immaginario e agire sociale, Vanessa Maher, Rosenberg & Sellier, 2017
Da una consulenza con la Dottoressa Immacolata Porto, psicoterapeuta
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