Mottainai: cosa può dirci una parola giapponese sui licenziamenti nell’industria videoludica
Dal racconto degli tsukumogami alla creazione di Super Mario Bros. Wonder: cosa unisce il folclore giapponese e l'industria dei videogiochi?
Nel folclore giapponese, sono diverse le storie che parlano di creature di vario genere, noti come yokai, o di spiriti terrificanti e vendicativi, conosciuti come yurei. Queste creature sono, in qualche modo, figlie di centinaia di anni di insegnamenti del buddismo e dello shintoismo, religioni che danno grande importanza alle presenze spirituali che governano i luoghi della nostra realtà e alla profonda connessione che questi hanno con le vite degli esseri umani, arrivando persino ad abitare gli oggetti inanimati del loro quotidiano.
Una classe di yokai in particolare, conosciuta con il nome di tsukumogami, si riferisce agli oggetti e utensili della casa che venivano buttati dalle famiglie giapponesi e che, dopo esattamente 100 anni, avrebbero ottenuto un’anima. Analizzando la cosa con gli occhi smaliziati della contemporaneità, viene da chiedersi perché mai qualcuno abbandoni i propri oggetti e utensili da un giorno all’altro, dopotutto parliamo di periodi storici in cui il fenomeno del consumismo era ancora molto lontano.
Il motivo è presto detto e, come spesso accade, ruota intorno a delle specifiche tradizioni popolari come quella del susuharai, traducibile letteralmente come “pulizia di casa di fine anno”. Questa pratica viene narrata nello Tsukumogami ki, un racconto illustrato su un rotolo di carta (anche definito emakimono) risalente al XIV secolo, secondo cui già nell’era Koho (964–967) i Giapponesi erano soliti riunirsi il giorno prima dell’inizio del nuovo anno per gettare via i propri kibutsu, cioè i vecchi strumenti e utensili della casa.

Dopo 100 anni, però, questi strumenti avrebbero ottenuto un’anima e giurato tremenda vendetta verso le famiglie che, con dedizione e impegno, avevano servito per lungo tempo, scatenandosi nei modi più disparati: si ubriacavano, festeggiavano, e arrivavano persino a rapire e uccidere esseri umani e animali. Questo, almeno, prima del deciso intervento dei guerrieri della luce buddisti, ma lascio a voi il piacere di scoprire il prosieguo di questo racconto tanto affascinante quanto bizzarro.
“Abbiamo servito fedelmente le case come mobili e utensili per molto tempo. Invece di ricevere la ricompensa che ci spetta, siamo abbandonati nei vicoli per essere presi a calci da buoi e cavalli. Al danno si è aggiunto l’insulto, e questo è l’insulto più grande di tutti!” — Tsukumogami ki (The Record of Tool Specters)
La narrazione mitologica, anche in questo caso, assume un ruolo pedagogico, invitando i suoi fruitori a riflettere sui propri comportamenti e, allo stesso tempo, portando avanti la filosofia e i precetti propri del buddismo. Tutto questo, però, cosa c’entra esattamente con i videogiochi?
Nintendo e la filosofia dietro la parola mottainai
Facciamo un bel salto in avanti, verso qualcosa di più vicino a noi, ossia la Game Developer Conference che si è tenuta a San Francisco nel 2024. Durante il panel dedicato allo sviluppo di Super Mario Bros. Wonder, tenuto da Takashi Tezuka e Shiro Mouri, rispettivamente producer e director del titolo, i due hanno parlato a lungo dell’approccio che hanno utilizzato per dare vita alle folli idee dei Fiori Meraviglia, sicuramente uno degli aspetti che più ha contraddistinto questo nuovo capitolo 2D di Mario.
Tutto parte da una parola giapponese, un aggettivo, mottainai, a cui è difficile associare una precisa e univoca traduzione in italiano; in sostanza si riferisce al concetto di spreco, ma sarebbe limitante affidarsi ad una traduzione così letterale e semplicistica. Sebbene questa parola indichi questo, porta con sé una serie di sfumature emotive che è importante tenere in considerazione, e che permettono di esprimere la frustrazione, il rimpianto o il dispiacere di non aver tratto il meglio da qualcosa e, di conseguenza, di averne sprecato il suo potenziale.
Questa parola riflette un modo rispettoso di approcciarsi alle cose tipico della cultura giapponese. Ne è un esempio comune la pratica del kintsugi, che permetteva di riparare le tazze di tè attraverso una lacca e alla polvere d’oro, utile a far risaltare le crepe. In questo modo, una cosa rotta poteva ritrovare la sua utilità, diventando allo stesso tempo un’opera d’arte unica e irripetibile. Una forma di rispetto che, di nuovo, ha le sue radici nelle religioni che hanno attraversato il paese del Sol Levante.

Nel buddismo, ad esempio, si ritiene che tutte le cose, viventi o meno, siano interconnesse tra loro e quindi l’atto dello spreco si traduce in una vera e propria mancanza di rispetto verso l’essenza stessa della vita, e che a tale azione non può che corrispondere una conseguenza. Un po’ come abbiamo visto nello Tsukumogami ki, con i suoi utensili e oggetti mossi da un profondo risentimento verso chi li aveva gettati via senza esitazione, tale da generare veri e propri atti di violenza ai loro danni.
Durante lo sviluppo di Super Mario Bros. Wonder, sono state raccolte circa duemila idee sui possibili effetti che i fiori meraviglia avrebbero avuto sul gameplay, provenienti da ogni membro del team, indipendentemente da ruolo e anzianità. Tante di queste avevano già al loro interno il seme di una grande idea, che sarebbe poi stata sviluppata e iterata dal team. Altre, invece, non rispettavano i criteri posti per la creazione degli effetti meraviglia, ma sarebbe stato uno spreco rinunciarvi e lasciare che marcissero in un cassetto o, peggio, in un cestino.
L’esempio più rappresentativo è quello di Koji Kondo, storico compositore di Nintendo, che su un post-it aveva scritto: “gli sfondi e i personaggi diventano immagini reali”, “la musica di sottofondo è Mario che canticchia” e “gli effetti sonori sono Mario che imita quei suoni”. Per quanto folli e divertenti, secondo Mouri queste idee non si prestavano particolarmente ad essere utilizzate come effetto meraviglia, perché di fatto, in termini di gameplay, non sarebbe cambiato nulla. tuttavia sarebbe stato mottainai buttarle via.
È così che è nata la spilla Effetti vocali, che sostituisce gli effetti sonori con una strana e buffa voce che li imita: sicuramente una delle più folli e inaspettate di tutto Super Mario Bros. Wonder. Dopo averlo giocato posso dire che sì, sarebbe stato tremendamente mottainai privare i giocatori della pazza idea di Koji Kondo.
“Far lavorare tante persone in una stessa direzione, per sviluppare un gioco con il minor numero possibile di sprechi, è senza dubbio un lavoro importante.” — Takashi Tezuka
Il costo umano e creativo dello spreco
Dopo aver ascoltato le parole di Tezuka e Mouri, ed essere rimasto profondamente affascinato dai significati dietro mottainai, ho ripensato agli incessanti licenziamenti che hanno colpito l’industria dei videogiochi: “Che peccato”, ho detto tra me e me, mentre cercavo di raccogliere più dati possibili su tutti i licenziamenti avvenuti negli ultimi anni e che, purtroppo, non accennano a fermarsi. Le persone su internet, però, corrono più veloci di me e infatti qualcuno ha già realizzato una lista dettagliata di tutti gli studi e i publisher che hanno messo alla porta i propri dipendenti, per un totale stimato che ammonta a circa 14mila persone solo per il 2024.
A differenza di Nintendo, con il suo virtuoso approccio alla creatività, sembra che nessuno in posizioni di rilievo nell’industria esclami mottainai quando tutto questo spreco di talenti si consuma davanti ai nostri occhi. Non a caso, abbiamo passato gli ultimi mesi ad ascoltare i CEO e i portavoce delle aziende parlare di “riassetto strategico per affrontare al meglio le sfide che ci aspettano” o “essere più sostenibili ed efficienti”, senza mai considerarne il fattore umano.
Il caso che più ha fatto discutere lo scorso anno riguarda senza dubbio la chiusura dello studio giapponese Tango Gameworks, fondato dal leggendario game designer Shinji Mikami, che nel 2023 era riuscito a far parlare di sé con il sorprendente Hi-Fi RUSH. Non è bastato — l’apparente, a questo punto — successo tra il pubblico decantato da Microsoft, né quello tra la critica con i diversi premi ricevuti nella Awards Season. Non è bastato e non resta altro che il rimpianto di non poter vedere il team raggiungere il suo massimo potenziale, o almeno provarci.
Tango Gameworks è solo uno degli esempi più rappresentativi di una tendenza che non accenna ad arrestarsi. Sono tantissimi i talenti, e basterebbe citare Embracer Group per raggrupparne più di un migliaio, a cui non è stato permesso di esprimere il proprio potenziale o di poter inseguire, e magari cogliere, la prossima grande idea di videogioco. Una di queste sarebbe potuta diventare il vostro prossimo titolo preferito.
Più recente, invece, è la chiusura di Monolith Productions, un team americano fondato nel 1994 e perlopiù noto per titoli come F.E.A.R, Condemned e la serie Middle-earth, che stava lavorando per Warner Bros. ad un videogioco su Wonder Woman. Lo studio si è visto smantellato a causa di “un 2024 deludente”, citando le parole di JB Perrette, CEO e presidente di Global Streaming and Games per Warner Bros. Discovery.
Nei suoi trent’anni di storia, il team si è contraddistinto per aver sviluppato nuove tecnologie per l’intelligenza artificiale (quella che governa i comportamenti dei personaggi non giocanti, per capirci), arrivando a creare, per il videogioco Middle-earth: Shadow of Mordor del 2014, un sistema di IA complesso conosciuto come Nemesis System. Quest’ultimo è stato poi brevettato da Warner Bros. e rimarrà proprietà dell’editore fino al 2036, a proposito di sprechi.
Questa catena di eventi non ha risparmiato nemmeno la scena indipendente, come testimonia la ristrutturazione del publisher Humble Games, posseduto dalla media company Ziff Davis, che ha visto il licenziamento di tanti dei suoi dipendenti e che, stando alle parole di un ex lavoratore, non ha in attivo alcun contratto di pubblicazione che vada oltre il 2025.
Questo è un caso che ci riguarda un po’ più da vicino, poiché l’editore ha un accordo di pubblicazione con lo studio indipendente italiano Memorable Games per la pubblicazione del suo On Your Tail. La ristrutturazione di Humble Games è arrivata come un fulmine a ciel sereno anche per loro, come ha confermato diversi mesi fa Mauro Fanelli, CEO e creative director del team, commentando un mio post su Facebook:
“Ovviamente anche noi siamo cascati dal pero, l’abbiamo scoperto credo 5 minuti prima degli altri solo perché ce l’ha detto la nostra (ormai ex) producer. Non sono stati cancellati giochi e per noi il piano è di lanciare come previsto, però di certo non è una situazione ideale.”
Quanto accaduto ad Humble Games potrebbe avere un grande impatto sulla scena indipendente da qui in avanti. Sia Memorable Games, che fortunatamente è riuscito a concludere lo sviluppo di On Your Tail, sia i tanti team indipendenti che abitano questa industria, dovranno fare a meno di un publisher importante, che negli anni ha permesso a titoli di qualità come Signalis, Slay the Spire, Unpacking e a tanti altri di vedere la luce.

L’industria del videogioco tende a non concedersi più il lusso di un nuovo tentativo e di quel “try again” che rappresenta, insieme al fallimento, uno degli elementi cardine del game design. È assurdo e paradossale, ma può essere una prospettiva con cui guardare al recente passato di questa industria.
Immaginate se CD Projekt RED fosse stata chiusa dopo il primo The Witcher, o se Rockstar Games avesse tirato i remi in barca dopo Red Dead Revolver; oppure, ancora, se Square Enix avesse accompagnato Yoko Taro alla porta dopo NieR o uno dei tre Drakengard. Insomma, pensate se ad uno qualsiasi dei tanti grandi autori del nostro tempo non fosse stata data l’opportunità di lavorare, di mettere in moto quelle idee che hanno cambiato o influenzato questo meraviglioso medium. Il prossimo Keiichiro Toyama è da qualche parte là fuori, così come il prossimo Masaya Matsuura, il prossimo Will Wright o il prossimo Brian Fargo.
Il termine giapponese mottainai sembra custodire al suo interno una possibile cura verso le terribili conseguenze dello spreco e dei molti modi in cui questo può manifestarsi. La storia degli tsukumogami ci ricorda di dare il giusto valore alle cose e di trattarle con il rispetto che meritano. E se può risultare difficile immaginare che da una forchetta, una cosa, possa nascere uno spirito vendicativo qualora dovessimo gettarla via, scelgo di credere che sia più semplice guardare una persona con tutti i suoi valori, le sue competenze e la sua passione, e pensare al danno che potrebbe recare il trattamento improprio di tutto questo.
Una partita ancora aperta
La questione dei licenziamenti nel settore dei videogiochi è sicuramente un argomento complesso e dalle molteplici sfaccettature, così come tutto ciò che riguarda lo sviluppo di un videogioco. Non è mia intenzione semplificarla o persino banalizzarla, ma tentare di affrontarla con un punto di vista come quello che può offrirci la parola mottainai. Questa, infatti, potrebbe aiutarci ad essere più consapevoli, sia che noi siamo dei semplici fruitori del videogioco, sia che vogliamo essere gli sviluppatori del domani.
Credo fortemente che sia necessario creare degli ambienti dove le capacità degli sviluppatori possano essere espresse al meglio, e nutrite per raggiungere il loro massimo potenziale. Il rischio, altrimenti, è quello di vivere con il rimpianto per tutto ciò che non è stato possibile realizzare attraverso il talento, e la passione, di tutte queste persone. Per il momento, però, non possiamo far altro che scrollare il capo ed esclamare a gran voce “mottainai”.
- Immagine di copertina di proprietà di Official GDC (CC BY 2.0)